seconda parte
Ad ogni modo, gli Stati sembrano fatti
apposta per animali tanto rari; la Provvidenza
riserva loro ogni più piccolo piacere; il Sovrano
stesso non è altro che il loro uomo d’affari;
quando compie il suo dovere si limita ad occu-
parsi di soddisfare i loro bisogni, di asseconda-
re le loro fantasie; molto onorato di lavorare per
uomini così indispensabili di cui lo Stato non può
fare a meno. Se un Monarca riscuote le imposte,
dichiara la pace o la guerra, studia migliaia di
ingegnose trovate per tormentare e tassare il
popolo, lo fa nell’interesse esclusivo di tali indi-
vidui. In cambio di queste attenzioni i cortigiani
riconoscenti ripagano il Monarca con la con-
discendenza, l’assiduità, l’adulazione, la vigliac-
cheria; il saper barattare tali mercanzie in
cambio di benevolenza è probabilmente il
talento più utile a Corte.
*****
I filosofi, che spesso sono di cattivo umore,
considerano in verità il mestiere del cortigiano
come vile, infame, pari a quello di un avvelena-
tore. I popoli ingrati non percepiscono la
reale portata degli obblighi propri di questi
uomini generosi che, pur di garantire il buon
umore del Sovrano, si votano alla noia, si sa-
crificano per i suoi capricci, immolano in suo
nome onore, onestà, amor proprio, pudore e
rimorsi; ma come fanno quegli ottusi a non
rendersi conto del costo di tanti sacrifici? Non
pensano al prezzo da pagare per essere un
buon cortigiano? Qualunque sia la forza d’animo
di cui si è dotati, per quanto la coscienza possa
essersi corazzata con l’abitudine a disprezzare
la virtù e a calpestare l’onestà, per gli uomini
ordinari resta comunque penoso soffocare nel
cuore il grido della ragione. Soltanto il cortigia-
no riesce a tacitare questa voce inopportuna;
lui solo è capace di un così nobile sforzo.
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